Ad eminenti personalità della cultura, della scienza medica, della musica e del teatro è toccato il compito di commemorare la poliedrica figura di Giorgio Zamboni l’anno scorso presso l’Accademia Virgiliana e il teatro Bibiena a Mantova. Nell’ambito di questa iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Roncoferraro, a me è stato affidato il compito di ricordarlo nel suo impegno sul nostro territorio, cosa che lui non considerava assolutamente una diminutio. Tralascerò di parlare dell’annuale convegno di etica e salute presso il Santuario di Barbassolo, sostenuto assieme a Don Ezio e di cui negli ultimi anni fu direttore scientifico. Domani si tiene la XIV edizione, ora sotto la guida del Dott. Gabrio Zacchè. Ma voglio dire che forte e determinato fu il suo impegno con il Vescovo Caporello finchè la chiesa romanica di Barbassolo fu elevata 5 anni fa a rango di santuario. So per certo che di questa eccellenza dobbiamo essergli grati.
Stasera lo ricorderò come promotore di iniziative finalizzate a celebrare i personaggi, in questo caso segnatamente roncoferraresi e governolesi illustri, che si sono spesi in campo culturale, ma non solo. A questo scopo mi contattò, appena ricevuta la delega all’assessorato alla cultura nel 2004. Era un’offerta/richiesta di collaborazione che mi onorò e che accettai immediatamente perché collimava con lo spirito del programma che avevo in mente. Nel corso dei nostri contatti non ho difficoltà ad ammettere che provavo una sorta di ossequio deferente, non perché fosse altezzoso, anzi l’immediatezza e l’amabilità del suo porgersi accorciavano naturalmente le distanze. Ma era per me inevitabile avvertire e riconoscere lo spessore della preparazione culturale, il carisma della personalità e, nello stesso tempo, un umanesimo sincero che lo rendevano superiore.
Ora si è trattato di recuperare quegli eventi da lui promossi e per questo la famiglia mi ha messo a disposizione le sue carte: una quantità considerevole di articoli, interventi, presentazioni di libri, annotazioni. Per fortuna aveva l’abitudine di scrivere i suoi interventi e di conservarli. Non esagero se dico che scorrendo quei fogli ho provato un senso di soggezione, sono entrata nel suo mondo in punta di piedi, con molto rispetto. Ho estrapolato i passaggi che ho ritenuto significativi nel tratteggio degli aspetti salienti che individuava nei personaggi presi, di volta in volta, in considerazione.
Cominciamo
Appassionato di musica e opera lirica, iniziò con la commemorazione del soprano Margherita Benetti. La frequentazione della sua casa in Governolo lo intrigava e gli dava l’occasione per cimentarsi egli stesso nel canto o almeno di provarci. Confessò pubblicamente che ne fu dissuaso da qualcuno che se ne intendeva con un impietoso “L’è mej cad feghi al dutor” e così poi fu per nostra fortuna e di tutti i bambini che curò.
Ma i due personaggi locali di rilievo a cui guardava con sussiego, mentre era ancora studente in medicina o neodottore, furono senz’altro i due medici condotti Trazzi Armando e Zeno Negrelli, chiamato a sostituirli temporaneamente agli inizi della sua attività. Trazzi seguiva il giovane studente con interesse e simpatia. Nell’intervento in sua commemorazione, così scrive Zamboni “ Mi laureai a tarda sera, l’unico a ricevere la lode tra 13. Prima di rientrare a casa volli comunicargli la notizia. Erano quasi le dieci e stava ancora cenando; mi accolse con una felicità palpabile e colsi nei suoi occhi la stessa commozione e lo stesso compiacimento che avevo visto nei miei genitori”.
Con Zeno Negrelli maturò nel tempo e condivise la passione per la filosofia, entrambi medici filosofi umanisti, cultori di scienza e cultura classica. Nella presentazione ai libri di Negrelli “Parola di Galileo” e “La filosofia della medicina, fondamento del rapporto medici-malato” così si esprime: “Negrelli incarna la figura professionale del vecchio medico di famiglia che esercitava una forma di paternalismo buono che interpretava in modo mirabile e commovente la missione ideale di difendere la vita e di fare il bene del paziente in scienza e coscienza. Sono grato a Zeno di avere ricordato che siamo eredi dei greci e dei cristiani e anche il medico quando si spoglia della toga classica e della tunica cristiana si inaridisce e perde quella carica di umanità essenziale nella sua professione”.
Nella presentazione del libro di Dante Bettoni ”La gente e il fiume”, libro scritto sul filo della memoria, ambientato a Governolo fino agli anni della deviazione del corso del Mincio, commenta:”Un libro su Governolo e per Governolo, se lo leggeremo con attenzione e profondità, diventerà per noi governolesi il nostro livre de chevet, il libro da tenere sul comodino per leggerne ogni tanto qualche pagina, così, per non dimenticare”.
E il plastico della conca in copertina ci collega al libro di Alberto Compagnoni “Governolo. Incrocio fra Po e la via Teutonica”. Zamboni entra nello spirito delle ricerca: “ Compagnoni si rivolge con passione alla natura dei nostri luoghi, vuole avvicinarla nel rispetto e vuole conoscerla nell’ammirazione e cerca di svelare con intelligenza e con amore ciò che è avvolto da secoli nell’ombra dell’ignoto [….]. Gli storici di professione storceranno il naso di fronte al suo lavoro [….]. Ma noi che storici non siamo avvertiamo nel suo lavoro tanta passione e tanto amore, vediamo che pur in assenza di documenti egli sa guardare la natura, la interroga, la interpreta formula delle ipotesi che per questo ci sembrano plausibili e rendono molto onesto il suo lavoro”.
E veniamo ai romanzi storici di Chiara Prezzavento, di cui riconobbe da subito il talento e che spronò a traguardi sempre più ambiziosi. Nel presentare “Lo specchio convesso” così si complimentava:” Questo è il complimento più bello che si possa fare alla nostra giovane autrice: in lei infatti l’equilibrio fra storia e invenzione risulta perfetto [….]. Manifesta un’urgenza di scrivere come richiamo interiore, una disposizione autentica a raccontare ed una mano molto felice nel dipingere situazioni e particolari, tanto che il suo manifesto piacere trova immediata corrispondenza nel piacere di leggere del lettore”.
Tra le sue carte anche gli interventi, sulla Cittadella in questo caso, di saluto ai parroci in arrivo e in partenza da Governolo negli ultimi anni. In particolare di Don Lino Azzoni, al momento del saluto in partenza osserva: “Don Lino sarà sicuramente ricordato per avere ridonato alla chiesa di Governolo dopo molti anni il suono meraviglioso del suo organo eccezionale, ma in molti resterà soprattutto il rimpianto per una grande lezione di carità, troppo in anticipo sui tempi e quindi incompresa. Don Lino ci ha insegnato che la carità non consiste nella moneta che diamo distratti e seccati a chi bussa alla porta e che noi lasciamo cadere nella sua mano attenti a non toccarla, in un gesto di fredda pietà; ci ha insegnato che la solidarietà consiste nel vedere nell’altro un nostro simile da rendere partecipe al banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono ugualmente invitati [….] un messaggio d’amore che significa identificazione con l’altro”.
Il tema della carità mi dà modo di introdurre un ultimo aspetto che traggo da un inedito, un Diario d’Albania, scritto dunque per non essere pubblicato, rimasto del tutto intimo. Si riferisce a un viaggio che fece in Albania assieme a Don Giampaolo e un certo Luigi, pure lui medico, una missione della Caritas per portare aiuti a 3 suore Carmelitane della Carità di Fushe-Mamurras. Non c’è data, ma si desume che era appena caduto il comunismo del dittatore Oxa. Rimase impressionato dall’arretratezza, dalla miseria di quel paese, dalla malnutrizione e dall’alta mortalità infantile. Mentre operava in quelle condizioni, meditò sulla lettera dell’Apostolo Giacomo “Che giova se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? La fede se non ha le opere è morta in se stessa”. In quella circostanza si trovò ad operare nella carità e ne rimase profondamente colpito. Al ritorno si ritrovò nel suo studio fra le consuetudini più care e così rifletteva:“Ho ripreso la mia vita normale, fra gli affetti familiari e nel tepore della mia casa, fra i miei quadri, la mia musica, la mia biblioteca. Le mie dita scorrono incerte sul pianoforte; sono infatti distratto da una citazione di Nietzsche (Il Crepuscolo degli Idoli) un tempo a me tanto cara:”Das Leben ohne Musik ist einfach eine Strapaze ein Irrtum”. La vita senza musica è insopportabile. Sì è vero, eppure che strano! In Albania non ne ho mai sentito la mancanza. Guardo i miei libri in panoramica e lo sguardo finisce di là dalla finestra e per un riflesso condizionato mi ritornano le parole di Cicerone “Si apud bibliothecam hortulum habes, nihil deerit” (Se vicino alla biblioteca hai anche un giardino, non ti manca proprio nulla). Sì ho anch’io un piccolo giardino vicino alla biblioteca, ma ora, dopo l’Albania, non sono più tanto sicuro che nulla mi manchi in questo luogo e che la mia vita sia proprio completa e soddisfatta”. Si insinuano le parole dell’apostolo Giacomo e il dubbio di Giorgio Zamboni, sulle quelle che fino a quel momento erano state le sue consolidate certezze, contribuisce a renderlo ancora più grande.
Ecco quanto ho scelto di proporre dalle carte del Professore. Era possibile riferire molto di più, però ci siamo dati dei tempi che è necessario rispettare. Sono infinitamente grata alla famiglia per la fiducia e la squisita disponibilità.
Livia Calciolari
Assessore alla Cultura Comune di Roncoferraro